Pubblicato il 02/02/2019
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Sea Watch, la Procura di Catania: “nessun reato” - VIDEO



“Dalle risultanze investigative non è emerso alcun rilievo penale nella condotta tenuta dai responsabili della Sea-Watch 3”. Ad affermarlo è il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Secondo la Procura etnea vi era la “necessità di un immediato intervento della Sea Watch”, per salvare vite umane.  Giustificata anche la decisione di dirigersi verso il porto di Siracusa, invece che verso la Tunisia “perché la rotta tunisina avrebbe costretto la nave a muoversi in direzione della perturbazione meteo in arrivo”.


di Giacomo Belvedere

“Dalle risultanze investigative non è emerso alcun rilievo penale nella condotta tenuta dai responsabili della Sea-Watch 3”. Ad affermarlo è il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che in passato non è stato mai tenero con le Ong. Secondo la Procura etnea vi era la “necessità di un immediato intervento della Sea Watch”, in linea con l’obbligo di soccorso e, in mancanza del quale, “il progressivo sgonfiamento dei tubolari del gommone […] avrebbe inesorabilmente portarlo all’affondamento del natante”. Anche la decisione di dirigersi verso il porto di Siracusa, invece che verso la Tunisia “è apparsa giustificata agli investigatori perché la rotta tunisina avrebbe costretto la nave a muoversi in direzione della perturbazione meteo in arrivo”. La Procura, inoltre, sottolinea come “per ben due giorni nessuna motovedetta libica è intervenuta in quella zona”L’ulteriore approfondimento - conclude Zuccaro - circa la necessità di un immediato intervento della Sea Watch appare del tutto superfluo”. Sea Watch assolta su tutta la linea, insomma.


«Apprendiamo che la nostra condotta non abbia “nessuna rilevanza penale”. Non si tratta di una vittoria: mai si dovrebbe verificare un tale accanimento contro chi svolge, nelle migliori intenzioni, un’attività umanitaria che cerca di colmare il vuoto lasciato in un'area dove le persone continuano a morire affogate quando non sono ricondotte alle terribili vessazioni che trafficanti, aguzzini e carcerieri infliggono loro in Libia». Questo il commento della Sea Watch.

«Alla luce di quanto detto – continua la nota della Ong -, si ribadisce la piena legittimità dell'intervento della Sea Watch 3, nonché degli altri assetti civili in mare, ed emerge come sia essenziale provvedere alla presenza di dispositivi idonei di soccorso per prevenire la perdita di vite umane nel Mediterraneo».


Secondo la Ong, si «impone una seria riflessione circa l’incapacità della cosiddetta Guardia Costiera libica di provvedere a un’adeguata assistenza nella vastissima area SAR che le è stata riconosciuta e il cui intervento non può comunque tradursi in un rientro forzato in Libia delle persone che da lì fuggono».

La «corretta registrazione – sottolinea la Sea Watch in polemica con il governo italiano -, inopportunamente contestata in pubbliche dichiarazioni del governo, viene invece riconosciuta dalla Procura. Si evidenzia inoltre come la nave non sia idonea a ospitare più persone di quante ne sia concepita per trasportare. Facciamo presente in merito che, nell'ambito di un’operazione di soccorso, non si lasciano le persone in mare quando vi siano in loco assetti maggiormente idonei a farlo».


«In seguito al soccorso – continua la nota -, la normativa predispone l’obbligo di assegnare un POS, un “Posto Sicuro” di destinazione “senza alcun ritardo”. Nessuna nave, di soccorso e non, indipendentemente dalla sua registrazione, è preposta alla permanenza a bordo per lunghi periodi dei naufraghi soccorsi. Nel caso specifico, in data 24 gennaio, la Sea Watch 3 comunicava l’intenzione di dirigersi verso il porto di Siracusa proprio per via della condizioni di precaria sicurezza a bordo, legata alla situazione di rilievo umanitario risultante dal soccorso e protratta per via della mancata assegnazione di un POS, Tale richiesta ha ricevuto un diniego immotivato da parte delle autorità italiane, che l’hanno quindi deliberatamente costretta a restare in mare , all’ancora, a un miglio dalla costa, per 7 giorni».


«È indispensabile – conclude la nota della Sea Watch - che le indagini si rivolgano alla lotta al traffico di esseri umani e alla difesa delle persone dagli abusi connessi a tale reato, e non alla società civile che si batte per la difesa della vita umana in mare. Il caso Sea Watch dimostra che, malgrado l’immenso sforzo di deterrenza, le acque e i porti italiani non sono chiusi».

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