Pubblicato il 28/03/2019
POLITICA

Quelle navi nel Mediterraneo che interrogano le nostre coscienze



“Immaginate di fuggire da un campo di concentramento. Durante la fuga vi catturano e vi vogliono riportare indietro. Vi ribellereste? Così hanno fatto i “pirati” del cargo El Hiblu 1, per salvare se stessi e i loro bambini. Immaginate, poi giudicate”.


di Giacomo Belvedere

“Immaginate di fuggire da un campo di concentramento. Durante la fuga vi catturano e vi vogliono riportare indietro. Vi ribellereste? Così hanno fatto i “pirati” del cargo El Hiblu 1, per salvare se stessi e i loro bambini. Immaginate, poi giudicate”. L’invito a “immaginare” viene dall’ong Mediterranea Saving Humans. 

Immaginate. Invece, no. “Pirati”, questo il giudizio senza appello per  108 migranti, 77 uomini, 31 tra donne (19) e bambini (12). Riesce difficile immaginare pirati  che per le loro scorribande si portano dietro donne e bambini. A memoria d’uomo non è mai successo. Ma tant’è.  Pirati sono. Clandestini, prima, ora anche pirati. Il ministro dell’Interno Salvini non ha dubbi. Quei dubbi che sono propri della coscienza.


El Hiblu 1 - battente bandiera delle isole Palau e partito dalla Turchia, aveva soccorso i naufraghi in mare e si era diretto verso Tripoli, su indicazione della Guardia costiera libica. Ma, a circa 6 miglia dal porto della capitale libica, il mercantile ha invertito la rotta, dirigendosi verso nord. Perché quei naufraghi  si sono ribellati a chi li voleva portare in salvo nel porto più sicuro?


Suvvia, basta un piccolo sforzo di immaginazione. Quelle 108 persone non erano naufragati durante un viaggio di piacere, ma stavano scappando dalla Libia. E perché portavano anche donne e bambini, consapevoli dell’enorme rischio che correvano? Anche in questo caso non occorre troppa immaginazione: perché la Libia, come confermato anche da numerose inchieste e da fonti Onu, è un inferno.

Dall’inferno si scappa ad ogni costo, persino quello della morte, portando con sé donne e bambini. Meglio la morte in mare. Chi fugge dall’orrore delle prigioni libiche “Libertà va cercando, ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”. Così Dante nel primo canto del Purgatorio. Paradossale che, chi invoca la legittima difesa, non applichi lo stesso principio alla vicenda della El Hiblu 1.


Coincidenza ha voluto che, nelle stesse ore in cui si consumava la vicenda del cargo El Hiblu 1, 54 persone, profughi siriani provenienti dal Libano siano arrivati, grazie a un corridoio umanitario di Mediterranean Hope, programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, in collaborazioneconla Comunità di Sant'Egidio e la Tavola Valdese, a Fiumicino, sane e salve, in modo legale: è dunque possibile immaginare un altro scenario. Perché non lo si fa?


Le risposte sono lì, chiare, brutalmente chiare. Talmente chiare che è meglio girarsi dall’altra parte. Per non avere dubbi o rimorsi. Lo scrittore russo Bulgakov, nel suo capolavoro Il Maestro e Margherita, immagina che il pretore della Giudea, Ponzio Pilato, sia condannato a essere ossessionato per l’eternità dal quel processo in cui, per cinismo, opportunismo e quieto vivere, aveva mandato un innocente al supplizio della croce, pur sapendo che era innocente. Ma se ne era lavato le mani, credendo di lavarsi in tal modo anche la coscienza. Del resto i sondaggi gli davano ragione. La gente aveva scelto Barabba.

Diciotti, Mare Ionio, El Hiblu 1: queste navi sono un tarlo disturbante per le nostre coscienze. Per chi, almeno, ancora ha uno scampolo di coscienza.


© RIPRODUZIONE RISERVATA


Commenta
Il tuo commento verrà pubblicato previa approvazione. Soltanto il nickname sarà visibile a tutti gli utenti.