Pubblicato il 02/07/2019
ATTUALITÀ
ph. Il Sette e Mezzo

Quel che resta del Cara di Mineo



Restano, nel centro deserto, gli ultimi 20 ospiti superstiti, le Forze dell’Ordine e circa un centinaio di cani randagi, che la fame ha reso particolarmente aggressivi. Restano nella memoria gli episodi dolorosi e cruenti che hanno segnato la vita del Cara. Restano le cinque inchieste giudiziarie. Resta l’amarezza per un’occasione perduta per fare vera integrazione: Nato male nel 2011, il Cara di Mineo muore peggio nel 2019.  


di Giacomo Belvedere

Al Cara di Mineo siamo alle battute finali. Oggi il centro di Contrada Cucinella, dopo gli  ultimi trasferimenti odierni, conta solo una ventina di ospiti. Si tratta di migranti con permesso di soggiorno che devono completare dei corsi professionali, nell’ambito dei progetti di integrazione in cui erano stari inseriti. Poi, anche per loro scatterà il foglio di via. Il centro, con le sue  400 villette a schiera, sorto per ospitare i militari statunitensi  di stanza a Sigonella e le loro famiglie, appare deserto. Svuotato quello che era diventato il 16° comune del Calatino, arrivato ad ospitare sino a più di 4500 migranti. Fu un’illuminazione avuta il giorno di San Valentino del 2011 dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal suo ministro dell’Interno Roberto Maroni a decretare la sua conversione nel più grande centro di accoglienza per richiedenti asilo d’Europa. Ed oggi, un altro ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sempre della Lega, ne ha decretato la chiusura. Salvini che, più volte, dal Cara menenino ha lanciato la sua scalata elettorale; ha bisogno oggi del medesimo Cara per propagandare il suo decreto Sicurezza. Il centro di Contrada Cucinella ha una forte valenza simbolica nella strategia del ministro dell'Interno: e dunque la fine della storia dell'ex Residence degli Aranci è segnata, per il Viminale, a prescindere da tutte le considerazioni pro o contro che si possano accampare: quasi a volerne cancellare il peccato d'origine.


IL GIOCO DELLE TRE CARTE - La propaganda del ministro dell’Interno gioca molto sui simboli: la chiusura del Cara ha un impatto iconico e mediatico molto forte; esattamente come lo slogan della chiusura dei porti. L’inquilino del Viminale sa solo chiudere. In realtà il suo è il gioco delle tre carte: chiude il Cara di Mineo, ma gli ospiti vengono trasferiti dal Cara ai Cas, che non sono certo una soluzione alternativa, in nome di un'accoglienza più radicata ed efficace. Tutt'altro. Del resto, anche i porti sono chiusi in maniera selettiva: solo per le Ong, per montare una campagna ideologica propagandistica; in realtà gli sbarchi continuano senza sosta. Ma se focalizzi l’attenzione dell’opinione pubblica su un evento ad alto impatto iconico, la distrai dal resto.

Restano le perplessità su di una chiusura che sa di programmatico e che appare fine a sé stessa, con un esito assolutamente nichilistico: nessuna prospettiva di miglioramento  per gli ospiti; nessun piano di ricollocamento  per i 299 lavoratori rimasti a casa. Chiudere e basta, è l'ossessione di Salvini.


100 CANI RANDAGI - Il Cara menenino, un tempo il più grande d'Europa, al centro in passato di furiose polemiche e contestazioni agguerrite, è un malato terminale in attesa che qualcuno stacchi definitivamente la spina. Fa impressione vedere la struttura quasi vuota. Restano i circa 20 ospiti superstiti e le forze dell’ordine. Restano anche un centinaio di cani randagi. Sono cani, alcuni di grosse dimensioni, che si sono nel tempo stanziati nel centro menenino, dove trovavano cibo in abbondanza. Ma ora, col centro desertificato, soffrono la fame. Sono organizzati in branchi che presidiano ciascuno il loro territorio. La fame li fa diventare aggressivi tra di loro e anche con gli umani rimasti. Fonti attendibili parlano di aggressioni subite dagli ospiti e anche dalle forze dell’ordine. Una bella gatta da pelare per il sindaco di Mineo, Giuseppe Mistretta, a cui spetta, per legge, la vigilanza e tutela del benessere degli animali presenti sul territorio comunale. Il primo cittadino menenino ha invocato le “misure compensative” risarcitorie, ma è assai difficile che dal Viminale arrivi un “compenso” risarcitorio, dopo che la gallina dalle uova d’oro è stata tolta di mezzo.   


OMICIDI E SUICIDI  - Restano anche i tanti episodi cruenti e di cronaca nera, che hanno segnato la vita del Cara: la morte del giovane eritreo Mulue Ghirmay, suicidatosi il 14 dicembre 2013; il duplice omicidio, il 30 agosto 2015, dei coniugi Vincenzo Solano e Mercedes Ibanez, massacrati nella loro villa da un ivoriano ospite del Cara; il femminicidio, il 1 gennaio 2018, di Francis Miracle, sgozzata con un colpo di arma appuntita alla gola dal suo compagno e padre dei due figli di sei e sette anni; gli arresti, a gennaio e marzo di quest’anno, di appartenenti alla mafia nigeriana, che gestiva un giro di prostituzione e droga nelle piazze di spaccio di Catania, Caltagirone e Caltanissetta e aveva base al Cara di Mineo. Per ricordare i casi più eclatanti e di cui è trapelata notizia.


LE INCHIESTE GIUDIZIARIE - Restano anche le inchieste giudiziarie. Quattro hanno la firma del Procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera. La prima riguarda una presunta parentopoli, con assunzioni sospette presso il Centro di accoglienza di Contrada Cucinella e compravendita di consiglieri comunali. Nel mirino della Procura calatina ci sarebbero due episodi: un posto di lavoro nel Cara, poi rifiutato, alla fidanzata di un consigliere comunale di minoranza in cambio di un “trasloco”, armi e bagagli, alla maggioranza, e un’analoga offerta in cambio di un posto di assessore. Verzera ha richiesto il rinvio a giudizio per il sindaco di Mineo Anna Aloisi, già presidente del Consorzio Calatino terra d’Accoglienza” – che amministrava il Cara prima della messa in mora dopo le perquisizioni e gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura etnea; per l’ex primo cittadino Giuseppe Mario Mirata; per l’ex presidente del Consorzio Sol Calatino Paolo Ragusa; per il consigliere e assessore comunale Luana Mandrà e l’ex assessore comunale Maurizio Gulizia.


La seconda inchiesta, per tentata concussione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e tentato abuso d’ufficio, vede indagati il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, gli ex assessori Giuseppe Biazzo, Maurizio Gulizia e Massimo Pulici, l’ex presidente di Sol.Calatino Paolo Ragusa, i dirigenti comunali Domenico Caccamo e Tommasa Saitta e gli impiegati Vincenzo Camuti e Giuseppe La Rosa. Riguarda la posizione privilegiata che paiono avere alcune coop nell’aggiudicazione degli appalti da parte del comune di Mineo.


Nella terza inchiesta è finito sotto la lente d’ingrandimento l’appalto da 97 milioni di euro, per il quale la Procura di Caltagirone ha avanzato le ipotesi di reato di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente a carico di 12 persone. Indagati, oltre l’ormai noto esperto multitasking Luca Odevaine, l’ex direttore del Consorzio Giovanni Ferrera. il capo dell’Ufficio tecnico di Vizzini Salvatore Lentini, e anche i 9 sindaci del comprensorio del Calatino, facenti parte del Consorzio dei Comuni “Calatino Terra d’Accoglienza”.


La quarta riguarda i conti del centro menenino e una presunta truffa del badge. Nello specifico, la Procura di Caltagirone ha vagliato attentamente i conti del centro di Mineo negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015. A Verzera i conti non tornano. Ci sarebbero presenze gonfiate per ricevere maggiori contributi: in sostanza ai badge timbrati non corrispondevano migranti presenti nella struttura. La truffa ammonterebbe a circa un milione di euro. Sei gli indagati per truffa e falso ideologico: Sebastiano Maccarrone, ex direttore Cara di Mineo; Giovanni Ferrera, ex direttore generale del Consorzio Calatino Terra d’Accoglienza; Andromaca Varasano, degli uffici amministrativi del Cara; Salvo Calì, rappresentante legale di Sisifo; Roberto Roccuzzo, consigliere delegato di Sisifo; Cosimo Zurlo, amministratore delegato della Casa della Solidarietà. Sisifo e Casa della Solidarietà sono state le società capofila delle Ati che si sono aggiudicati gli appalti al Cara.  


C’è poi l’inchiesta della Procura etnea, troncone dell’inchiesta romana su Mafia Capitale. Sono 15 gli imputati per turbativa d’asta nell’ambito della concessione dell’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014, al Cara di Mineo: tra di loro anche l'ex sottosegretario alle Politiche agricole, Giuseppe Castiglione, indagato in qualità di allora soggetto attuatore del Centro accoglienza richiedenti asilo menenino; l’allora sindaco di Mineo, Anna Aloisi; l’ex presidente del consorzio Sol.Calatino, Paolo Ragusa; l'ex direttore del consorzio “Calatino terra d'accoglienza”, Giovanni Ferrera; gli ex vertici delle Ati interessate. Dal procedimento è uscito Luca Odevaine, condannato a due anni e 8 mesi e alla restituzione di 250 mila euro, a cui si è aggiunta una successiva condanna a 6 mesi di reclusione: questo il prezzo pattuito per chiudere i conti con la tranche dell’inchiesta romana legata alle tangenti avute per il ruolo di facilitatore negli appalti del centro di accoglienza di Mineo e nello smistamento e assegnazione dei migranti a coop amiche. Nomi che tornano come un refrain nelle varie inchieste.


UN'OCCASIONE PERDUTA - Quel che resta è il sapore amaro per un’occasione mancata per fare concreta integrazione. Nato male nel 2011, il Cara di Mineo muore peggio nel 2019. Fu la sua apertura nel 2011 un’operazione politica propagandistica; lo è ancora oggi la sua chiusura nel 2019. Non a caso è annunciata come imminente la sua discesa a Caltagirone nei prossimi giorni, per chiudere il Cara e inaugurare il nuovo Commissariato di Polizia. Come a mettere la ciliegina su una torta riuscita assai indigesta.

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