Pubblicato il 24/12/2019
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Ci è stato dato un bimbo



Nel presepe c’è posto solo per chi migra, si sposta, spinto dalla necessità, dal desiderio o dalla costrizione. Non c’è posto per chi ama i recinti sicuri del proprio odio e della propria paura. Perché quel bimbo indifeso sarà il principe della pace, non della guerra (Isaia 9, 3-5).

di Giacomo Belvedere

Ci è stato dato un bimbo. Non era propriamente quello che volevamo. Aspettavamo, infatti, il Dio degli eserciti, il Signore potente che ci avrebbe dato potere sui nostri nemici, rinsaldato la nostra identità e i sacri valori della patria, cacciato gli invasori. E invece.


Ci è stato dato un bimbo. Non un padre forte e protettivo, ma un figlio debole da proteggere. Da accogliere anche quando non c’è posto per lui. Da difendere dalle mire dei potenti. Da accompagnare nella fuga in Egitto. Senzatetto, profugo. Come culla ha solo una mangiatoia.


Non era questo il Natale che volevamo, fare noi da padri e madri a questo Dio minore, ultimo fra gli ultimi. E infatti stentiamo a riconoscerlo. Oppure ci trinceriamo dietro la mistica fuorviante del presepe, brandito come un’arma, un simbolo esclusivo, un recinto identitario dove mettere i “nostri” e da cui espellere gli “altri”.  Pur di non vedere quel bimbo, ci siamo fatti un presepe a nostra immagine e somiglianza.


Ma nel presepe ci stanno personaggi inquietanti, altro che mistica del Natale.

Ci sono i pastori. Negli antichi scritti talmudici si esprimeva il disprezzo per la loro condizione sociale con la massima: “Non si tirano fuori da un fosso né i pagani né i pastori”. Molto meglio lasciarli crepare.


Perché i pastori, per loro stessa condizione migranti, costretti a spostarsi continuamente in cerca di acqua e nuovi pascoli, in Israele erano considerati impuri, perché  non ligi ai precetti della Torah e frequentatori sporadici delle sinagoghe e del Tempio.


E ci sono i magi. Stranieri, anche loro migranti, con negli occhi e nel cuore il fascino di una stella, ma ignoranti di Legge e Profeti. Non come Erode, che consulta i testi sacri per uccidere il bambino.


C’è, infine, quella famiglia sui generis, costretta dal fiscalismo rapace dell’impero romano a mettersi controvoglia in viaggio, a passare la notte all’addiaccio, mettendo a repentaglio la sorte di quel nascituro. Ne avrebbero fatto volentieri a meno di quel viaggio.


Nel presepe c’è solo gente che migra, si sposta, spinta dalla necessità, dal desiderio o dalla costrizione. Non c’è posto per chi ama i recinti sicuri del proprio odio e della propria paura.


Perché su quella mangiatoia verrà adagiato un bimbo che spezzerà il giogo che opprime e il bastone dell’aguzzino; verranno bruciati e dati in pasto al fuoco la calzatura del soldato e ogni mantello intriso di sangue. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. E sarà il principe della pace, non della guerra (cfr. Isaia 9, 3-5).

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