Pubblicato il 15/03/2015
INCHIESTA

Il Cara di Mineo prima di Cantone. Quando per l’Authority gli appalti erano ok



di Giacomo Belvedere

L’INCHIESTA – Chi è ancora sui banchi di scuola lo sa bene, chi è più avanti negli anni lo ricorda come fosse oggi: quando si cambia prof spesso cambiano anche i voti. Di solito in peggio, per una regola non scritta da nessuna parte. E un compito, prima eccellente, a stento raggiunge la mediocrità, se ti va bene. Cambiato direttore d’orchestra si cambia anche musica.

Qualcosa di simile è successo al Cara di Mineo, il mega centro di accoglienza per richiedenti asilo, allocato in quello che un tempo era il ridente Residence degli aranci, 403 villette dismesse dalle famiglie dei soldati statunitensi della base Nato di Sigonella, in cui nel febbraio del 2011 l’allora premier Silvio Berlusconi e il suo ministro Roberto Maroni ebbero la grande idea di sistemare i migranti in fuga durante la cosiddetta primavera araba. Il centro è sinora passato indenne dalle forche caudine dei ricorsi al Tar e delle istanze all’Autorità di Vigilanza, ma qualcosa infine sembra essersi inceppato. Dopo l’arrivo di Cantone, è cambiato il prof e gli esercizi non risultano più come prima.

Ph. Giusi Scollo

Ph. Giusi Scollo

AL CARA, SERENO VARIABILE – Dalla sua nascita nel 2011 sino a quel malaugurato inizio di dicembre dell’anno scorso, in cui è stato arrestato il superconsulente del Cara menenino Luca Odevaine, sul centro di contrada Cucinella non si erano mai addensate nubi nere foriere di tempesta, al più qualche nuvoletta, passata senza lasciare traccia. Certo, c’erano state le proteste dei migranti, costretti da lentezze burocratiche, per qualche oscura inspiegabile fatalità, a un limbo insensato in cui il tempo non passa mai. Il Coordinamento dei Consiglieri del Calatino più volte ha denunciato sovraffollamento, precarie condizioni igienico-sanitarie, mensa inadeguata per numeri così grandi, tempi lunghissimi per avere i documenti, esistenza di un vero e proprio mercato nero: più che un centro di accoglienza, insomma, un campo profughi con condizioni di vivibilità inaccettabili. Si è sussurrato di aborti sospetti, di prostituzione, di caporalato e lavoro nero, voci subito messe a tacere. Ci sono stati tentativi di suicidio: ma nessuno sa dire quanti. Un giovane di 21 anni, Mulue Ghirmay, venuto da Keren in Eritrea, si è impiccato il 14 dicembre 2013. Oggi è stato dimenticato come un increscioso incidente di percorso.

Per i responsabili della struttura si è trattato di piccoli nei che non hanno offuscato l’immagine di un centro che orgogliosamente si denomina Villaggio della Solidarietà. A gennaio 2014 sulla pagina Fb del Cara parte una campagna promozionale contrassegnata dall’hashtag #fattinonparole che snocciola tutta una serie di successi che sembrano smentire inequivocabilmente l’immagine del Cara luogo di segregazione: ludoteca, doposcuola, punto d’incontro per le famiglie, attenzione ai bambini dalla nascita e poi nel percorso scolastico, Grest, alfabetizzazione motoria, laboratori creativi, corsi d’igiene personale. Insomma un paradiso in terra. Tanto che il Prefetto di Catania Maria Guia Federico si fa prendere dall’entusiasmo e dichiara nell’incontro che ha il 13 gennaio con i rappresentanti delle etnie e delle comunità del Cara Menenino: «Voi qui vivete in un ambiente, se vogliamo, protetto, confortevole, perché fuori c’è una disperazione incredibile che probabilmente da qua dentro non si avverte. Ma vi posso garantire che non pochi italiani prenderebbero il vostro posto e starebbero volentieri qui dentro, viste le difficoltà che affrontano tutti i giorni». Per quanto se ne sa gli unici italiani che stanno là dentro sono quelli che a vario titolo ci lavorano e che non vedono l’ora, finito il turno, di tornarsene e a casa propria.

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LA BUFERA E ALTRO – Dopo l’inchiesta su Mafia Capitale, improvvisamente il vento è cambiato e si è fatto un vortice che rischia di travolgere tutto e tutti. Eppure, forse, il centro sarebbe passato indenne anche da questa ulteriore improvvisa e più violenta bufera. La strategia di difesa è apparsa da subito chiara: «Odevaine? Non potevamo sapere. Per tutti era una persona integerrima». Luca Odevaine vanta un pedigree di tutto rispetto: ex vice capo di gabi­netto di Veltroni, nel 2005 si occupa dei funerali di Wojtyla, nel 2006 dei festeggiamenti per i mondiali di calcio; poi è chiamato da Zingaretti alla provincia di Roma come direttore della polizia provinciale con uno stipendio di 136 mila euro. Chi avrebbe potuto sospettare? Odevaine: l’uomo che ti risolve i problemi, con la soluzione pronta consegna. Indispensabile anello di congiunzione col Viminale, dove siede al Tavolo nazionale sull’immigrazione. Certo, sull’integrazione dei migranti il super esperto ha idee un po’ grezze e spicce: «mandiamoli a raccogliere arance nella Piana di Catania», suggerisce in un convegno che si tiene alla Camera dei Deputati il 5 luglio 2012. Ma, insomma, questo è cercare il pelo nell’uovo: lui è un praticone, simpatico pure e di compagnia, mica un professorone.

Ph. web

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Eppure Luca Odevaine, classe 1956, qualche scheletro nell’armadio l’aveva assai prima di Mafia Capitale, tanto da cambiarsi il cognome da Odovaine a Odevaine per far passare sotto traccia due vecchie condanne: una nel 1989 per droga e una seconda nel 1991 per emissione di assegni a vuoto. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Come un pugile che non si dà mai per vinto, il Cara menenino si preparava dunque ad incassare anche questo duro colpo. Quando, inaspettato, è piombato a sparigliare le carte il “fattore C”, che ha impresso un’accelerazione alle indagini sulla gestione del centro di contrada Cucinella. Dove “C” sta per Raffaele Cantone, il supercommissario nominato il 27 marzo 2014 capo dell’Autorità nazionale Anticorruzione (Anac). Il calendario a volte regala strane coincidenze. Cantone viene nominato anche commissario straordinario dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) il 13 giugno, proprio quando sta andando in porto a Mineo l’appalto da 98 milioni di euro. L’Avcp, presieduta dal magistrato Sergio Santoro, viene di fatto esautorata e assorbita dall’Anac. Un’Authority, l’Anvp, che aveva fatto parlare di sé anche per via dei guai giudiziari di alcuni suoi consiglieri, di nomina parlamentare, e per lo scarso attivismo sugli appalti pubblici. Su Mose e Expo insomma era stata un po’distratta.

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Ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

QUANDO PER LA VIGILANZA ERA TUTTO OK – L’Anvp si è occupata del Cara di Mineo nel 2012. La Cot, una società di ristorazione con sede a Palermo, inoltra un’istanza di precontenzioso sull’appalto del 3 febbraio 2012 per la gestione dei servizi e delle forniture al Cara menenino, appalto vinto dalla Rti con capofila il Consorzio Sisifo. La Cot è la stessa azienda a cui Cantone darà invece ragione riguardo all’appalto del 2014. Come a dire: ritenta, sarai più fortunato. Soprattutto se sono cambiati la musica e gli orchestrali.

Nel 2012 l’Authority esamina il caso senza trovarci nulla di anomalo. A capo dell’ Anvp, come s’è detto, sta Sergio Santoro, il magistrato esautorato da Renzi per scarsa produttività. In effetti, come emerge da un’inchiesta del programma di Rai 3 Report del 21 aprile 2013, in poco più di un anno, su 138 opere appaltate, l’Anvp ha fatto solo 9 segnalazioni. O tangentopoli è un’invenzione giornalistica o l’Autorità di Vigilanza è un colabrodo dove passa di tutto. La commissione che esamina l’istanza della Cot è composta, oltre che da Santoro, dai consiglieri relatori Piero Calandra e Alfredo Meocci. Calandra si è poi dimesso nel marzo 2014, perché il suo nome è stato fatto nell’inchiesta sul nodo fiorentino della Tav che ha portato all’arresto di Maria Rita Lorenzetti, ex Presidente dell’Umbria. Stessa sorte era toccata a febbraio 2014 a Meocci, ex Direttore generale della Rai, dimessosi, perché coinvolto nell’indagine su presunte agevolazioni negli appalti legati allo scandalo romano di “vigilopoli”. Bell’esempio certo di vigilanza, degno del quis custodiet ipsos custodes? [chi sorveglierà gli stessi sorveglianti?] del poeta latino Giovenale.

Ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

Ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

Nell’istanza del 2012 la Cot lamenta l’illegittimità dell’attribuzione di un punteggio aggiuntivo per chi avesse avuto la possibilità di avvalersi di un centro di produzione pasti entro un raggio di 30 km, da utilizzare in situazioni di emergenza. Il bando, infatti, prevede, in caso di dimostrazione di tale disponibilità, l’attribuzione di massimo 6 punti (pari al 30 % dei punti assegnabili alle proposte migliorative), condizione che, secondo la società di ristorazione palermitana, incide pesantemente sulla par condicio. Inoltre la Cot critica il bando laddove stabilisce l’obbligo di attestare di aver gestito, nell’arco degli ultimi tre anni precedenti, un servizio di ristorazione erogato con le modalità di self service, per un numero di persone non inferiore a 2000 per pasto. Secondo la Cot tale requisito è sproporzionato rispetto all’oggetto dell’appalto, anche perché la ristorazione costituisce solo una parte della gestione del Cara: sarebbe stato insomma irragionevolmente limitativo della concorrenza e si sarebbe varcato il limite che governa la discrezionalità della quale gode la Stazione Appaltante in sede di enucleazione dei requisiti di qualificazione delle imprese concorrenti.

Entrambi i rilievi sono stati rigettati dall’Authority. La possibilità di avvalersi di un centro di produzione pasti entro un raggio di 30 km rappresenta, secondo il parere dell’ Anvp del 27 giugno 2012, un «qualificante profilo dell’offerta migliorativa, con conseguente attribuzione di punteggio addizionale, ma non costituisce anche un requisito di partecipazione alla procedura, di talché la sua introduzione non può determinare il paventato restringimento della platea dei concorrenti». E dunque «la disponibilità di un centro di cottura di emergenza può ragionevolmente rientrare tra gli elementi di valutazione a cui deve attenersi la Commissione, siccome esattamente riconducibile a quello relativo all’organizzazione gestionale del servizio con specifico riferimento ai piani di emergenza da attuare nel caso in cui la cucina non sia in grado di funzionare per guasti o altre sopravvenienze».

Ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

Ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

Rispetto al secondo punto, aver gestito, nell’arco degli ultimi tre anni precedenti, un servizio di ristorazione erogato con le modalità di self service, per un numero di persone non inferiore a 2000, l’Authority chiarisce che la Stazione Appaltante può richiedere «requisiti ulteriori e più restrittivi rispetto a quelli stabiliti dalla legge, con il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza». In ragione «della evidente specificità del servizio oggetto della concessione e della correlata specifica idoneità professionale richiesta al gestore, non appare sproporzionato il requisito richiesto dalla Stazione Appaltante», in quanto tale limite «non può dirsi nel caso di specie superato, avuto innanzitutto riguardo alla portata dimensionale del servizio in appalto, che è scolpita dallo stesso avviso pubblico nel definire che la capienza del centro di accoglienza da gestire è appunto pari a 2000 posti». Tradotto dal burocratese, l’Autorità di Vigilanza in sostanza sostiene che numeri così grossi sono giustificati dalla dimensione stessa del Cara menenino, il più grande d’Europa. Un’ulteriore contestazione sulle modalità di nomina della Commissione esaminatrice è ritenuta inammissibile, perché sollevata successivamente alla presentazione dell’istanza. Promozione su tutta la linea: «la disciplina di gara predisposta dal Soggetto Attuatore per la Gestione del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (C.A.R.A.) di Mineo è conforme alla normativa di settore».

IL FATTORE “C” – Ma la Cot non si rassegna alla sconfitta e nel 2014 torna all’attacco sull’appalto triennale da cui è stata esclusa in quanto dei sette requisiti richiesti possiede solo il titolo per la gestione del servizio ristorazione. Il giudizio dell’Anticorruzione arriva il 3 marzo scorso. Ma stavolta sull’esito dell’istanza interviene il fattore “C”: il parere dell’Authority guidata da Cantone è ribaltato rispetto a quello del 2012.

Ph. Andrea Annaloro

Ph. Andrea Annaloro

Si tratta di una bocciatura senza appello della gara di appalto, giudicata illegittima «in quanto espressione di un oggetto contrattuale che, in realtà, si riferisce ad appalti differenti che avrebbero dovuto essere aggiudicati con separate procedure di gara ovvero con una ragionevole suddivisione in lotti» funzionali autonomi. Invece con un’unica procedura di gara si è «proceduto all’affidamento di contratti che vanno dall’appalto del servizio di gestione amministrativa e di assistenza presso il centro, all’appalto del servizio di assistenza generica alla persona, del servizio di assistenza sanitaria, all’appalto del servizio di pulizia e igiene ambientale, del servizio di ristorazione, all’appalto di forniture agli ospiti, all’appalto del servizio di manutenzione dell’impiantistica insistente presso il centro».

Una scelta, a parere dell’Anac, in contrasto con i principi espressi all’art. 2, comma 1-bis, d.lgs. 163/2006, introdotto con l’art. 44, comma 7, del d.l. 201/2011, convertito con modificazioni, dalla l. 214/2011, ai sensi del quale: «Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali». I criteri di partecipazione alle gare devono infatti – secondo la normativa citata – «essere tali da non escludere le piccole e medie imprese». «L’indicazione dell’importo a base d’asta in maniera complessiva, – conclude l’Authority – senza indicazione degli importi per i singoli servizi, forniture e lavori messi a gara, non risulta conforme ai principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità e economicità né consente di compiere una ragionevole valutazione delle offerte economiche».

La controprova «dell’assenza di concorrenza e di convenienza per la stazione appaltante è dimostrata dal fatto che, oltre all’istante, v’è stato un solo concorrente che ha partecipato alla procedura — il gestore uscente – cui è stato aggiudicato l’appalto con un ribasso molto ridotto pari a 1,00671% sul prezzo. Né il Consorzio, pur avendone facoltà ai sensi degli artt. 55, comma 4 e 81, comma 3, d.lgs. 163/2006 applicabili alla procedura in esame per espresso richiamo negli atti di gara, considerata la presentazione di un’unica offerta valida e visto il ridotto ribasso, risulta abbia valutato di non procedere all’aggiudicazione per il caso che nessuna offerta risultasse conveniente».

Il giudizio finale è lapidario: la lex specialis della procedura di gara d’appalto indetta dal Consorzio “Calatino Terra di Accoglienza” con determinazione dirigenziale n. 58 del 24.04.2014 ai fini dell’affidamento per tre anni della gestione del centro di accoglienza CARA di Mineo è ritenuta dall’Anac «illegittima», e in contrasto «con i principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità e economicità».

Ph. Andrea Annaloro

Ph. Andrea Annaloro

L’EFFETTO DOMINO E IL CONVITATO DI PIETRA – Il resto è cronaca di questi giorni. Cantone ha disposto la trasmissione degli atti alle Procure della Repubblica competenti, quella di Catania e quella di Caltagirone. Innescando una mina dagli effetti dirompenti: i rilievi mossi all’appalto del 2014, possono essere agevolmente applicati anche al primo appalto del 2011 e al secondo del 2012. Entrambi sono inficiati dall’essere stati una gara cucita su un’offerta all inclusive, cosiddetta “chiavi in mano”, in cui si sa già chi vince: chi ha la disponibilità totale di servizi, forniture, immobile fa fuori le piccole e medie imprese. L’invincibile armata che, sempre la stessa, in barba a tutte le esigenze di «concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità e economicità» ha sbaragliato i competitori anche nei due primi appalti rischia di rivelarsi ora un gigante dai piedi d’argilla.

L’effetto domino del parere dell’Anac sulla gara del 2014 può ricadere a cascata con conseguenze devastanti su tutto l’operato della gestione degli appalti. Con un’aggravante non da poco: in tutte e tre le occasioni, in Commissione giudicatrice sedeva il convitato di pietra, Luca Odevaine, l’uomo di Mafia Capitale a Mineo, che nelle intercettazioni si vanta di aver suggerito a Castiglione di far entrare La Cascina nell’affare della gestione del Cara di Mineo e fare così «una roba che c’abbia una sua professionalità». Il suo piano è chiaro: «Castiglione – afferma – si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano, e adesso CL di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del centrodestra […] sono tra i principali finanziatori di tutta questa roba […], io li ho messi insieme, e si è strutturata questa roba, dopodiché abbiamo fatto questa cosa di Mineo».

Così parlò Odevaine/Odovaine, il deus ex machina del Cara di Mineo, dal passato oscuro, che oggi tutti fanno finta di non conoscere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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