Pubblicato il 24/03/2015
SOCIETÀ

Don Vinicio Albanesi. «Il Cara di Mineo? Basse speculazioni spacciate per solidarietà»



Non le manda a dire don Vinicio Albanesi. Intervistato sulla questione migranti, risponde come è suo solito, con schiettezza e senza giri di parole, smontando alcuni luoghi comuni radicati: «Una vera politica di accoglienza– denuncia Don Vinicio – non è mai esistita. Esiste solo la politica di emergenza»

Lui qualche esperienza nel settore ce l’ha: è stato dal 1990 al 2002 presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.), succedendo a don Luigi Ciotti, e dal 1994 è presidente della Comunità di Capodarco, un’associazione di varie Comunità locali, con a capo la Comunità madre di Capodarco di Fermo, nella storica villa dove venne fondata nel 1966. Oggi la Comunità di Capodarco è presente  non solo in svariate città e regioni d’Italia, ma dagli anni ’90 si è allargata fuori dai confini nazionali, dando vita alla Comunità Internazionale di Capodarco (CICa), un’organizzazione non governativa di solidarietà che ha la sua sede operativa presso la Comunità Capodarco di Roma e si propone di dare risposte ai problemi dei poveri e degli emarginati di tutti i continenti, con un’attenzione prevalente rivolta ai disabili.

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L’INTERVISTA

La conversazione con don Vinicio è un’intervista a tutto campo su migranti, accoglienza, le paure degli italiani e le strumentalizzazioni politiche. Anche sul Cara di Mineo, il mega centro per richiedenti asilo in contrada Cucinella, il giudizio è una stroncatura senza appello.

– Don Vinicio, quello dei migranti è un problema all’ordine del giorno che spesso crea paura e allarme.

«Noi abbiamo affrontato questo problema come emergenza. Non abbiano capito che la popolazione nostra invecchiava e che eravamo circondati da popolazioni giovani, affamate e desiderose di sopravvivere. Una vera politica di accoglienza non è mai esistita. Esiste solo la politica di emergenza, che oggi è la Libia, ma noi stessi siamo stati attori di questa emergenza quando i nostri nonni, bisnonni, trisavoli sono andati negli Stati Uniti, in Argentina, in Paraguay, in Venezuela. È un fenomeno direi quasi naturale. Noi l’abbiamo, primo, sottovalutato; secondo, non abbiamo attivato le politiche preventive, per andare a capire da quali paesi provenivano i flussi migratori. Prima erano i paesi dell’Est – ricordiamo negli anni 2000 l’ondata dergli albanesi e poi dei rumeni -; poi l’ondata del Nord Africa, e adesso dell’Africa centrale.  L’abbiamo sottovalutato non facendo nulla di politica estera, perché questo problema fosse affrontato.

Nel momento in cui accogliamo le persone le accogliamo fino al visto d’ingresso. Le accogliamo, le teniamo mesi e mesi senza arte né parte, dopodiché molti di questi diventano clandestini. E diventando clandestini è alto il rischio che vadano ad alimentare una delinquenza che poi è anche italiana, non è solo straniera».

– Molti dicono che i migranti mettono a repentaglio la sicurezza degli italiani e che “vanno aiutati a casa loro”.

«Pura campagna elettorale, ma non è la prima volta che le campagne elettorali si fanno sulle paure. Noi abbiamo esportato la ‘ndrangheta, la mafia, la camorra: di che parliamo? O ci siamo dimenticati degli inizi del secolo negli Stati Uniti, in Sudamerica, in Canada? La delinquenza si crea nel momento in cui le persone non hanno una collocazione. Però io chiedo: che cosa è stato fatto per accogliere e accompagnare queste persone? Tutti dicono: ma ci tolgono il lavoro. Nel momento in cui non c’è lavoro l’immigrazione scappa via. Perché che fa, come sopravvive? In Spagna ci sono stati un milione di equadoregni che sono emigrati in Spagna e stanno rientrando tutti a casa. Pensare di doversi chiudere nella vecchia Europa, che è arrivata al 25% di persone che hanno oltre i 65 anni, e continuare con questo trend quando la percentuale salirà sino ad arrivare al 30%, è non capire che l’integrazione permette a noi di vivere e di sopravvivere. Guardiamo all’Inghilterra. L’Inghilterra è piena di mille razze: indiani, pakistani. Si sono integrati, fanno i medici fanno gli ingegneri, fanno i manager, e perché da noi il massimo che possono fare è raccogliere i pomodori o fare i lavori che noi non facciamo? È un’ottusità gestionale, politica, che si riverbera poi nella vita delle persone. Ma non è più possibile chiudere le frontiere, perché moriremmo. Non è essere buonisti, accoglienti, no, è essere anche capaci di guardare al nostro futuro. I nostri ragazzi dove vanno, i laureati dove vanno oggi? Vanno negli Stati Uniti, in Gernania, in Scandinavia, in Canada, vanno  in Australia. Sono migranti pure loro. Però quei paesi hanno percorsi molto efficienti per integrarli. Noi non abbiamo nulla, né per i livelli bassi, né per quelli alti.

– La risposta data al problema è stata prima Mare Nostrum, ora Triton. Sono risposte adeguate?

Non sono adeguate perché c’è uno scaricabarile. Questo significa che la nostra politica estera è fiacca. Contiamo poco nell’ambito dell’Europa. Noi siamo in frontiera, insieme alla Spagna, meno la Francia. Però domando: quanti stranieri sono transitati per l’Italia per andare in Germania? La Germania ha accolto  il doppio di migranti rispetto a noi italiani. Però li inserisce, fa loro dei percorsi, mette delle regole, delle condizioni perché siamo utili a sé e alle loro famiglie. Fare lo sbarramento, chiudere i mari…  ma non si fa così. Non bisogna chiudersi a riccio, perché, prima di tutto, non possiamo salvaguardare migliaia di kilometri di costa, perché è materialmente impossibile, e poi bisognerebbe essere più intelligenti, perché fra gli immigrati c’è di tutto: ci sono gli analfabeti, ma ci sono anche i laureati, ci sono gli infermieri, ci sono medici , ci sono geometri, parlano più lingue di noi. Perché il colore della pelle non può diventare e significare ignoranza: è la stessa repulsione che avevano gli svizzeri o i francesi nei nostri confronti negli anni ’50. I miei amici d’infanzia sono stati tutti immigrati. Ricordate quando ci furono tutti quei morti nelle miniere a Marcinelle? Molti di loro erano italiani. Sono fenomeni che fanno parte della nostra storia, perché è come la transumanza: la gente va e viene. Questa non è una cosa eccezionale. Il problema è avere l’intelligenza di saperli “utilizzare”, – è la parola brutta -, di saper inseguire obiettivi che riguardano loro ma anche noi».

– Qui nel territorio insiste il Cara di Mineo, un centro di accoglienza di 4 mila migranti, al centro dell’inchiesta Mafia Capitale, in cui è coinvolto il superconsulente Odevaine che era interno al Cara. Più che un centro di accoglienza è un campo profughi. Con questi numeri l’accoglienza può funzionare o è una risposta sbagliata?

«Ma sì che è sbagliata, perché dalla mia esperienza non si possono superare le 80 persone. Avere la pretesa di fare gli albergatori a basso costo, dando un piatto di minestra o poco più, questa non è accoglienza non è professionalità. Significa approfittare da parte di pochi sulle disgrazie altrui e aver la pretesa di aver fatto un’opera di carità, un’opera di solidarietà. Queste sono basse speculazioni. Punto e a capo».

Giacomo Belvedere

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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