Pubblicato il 11/01/2017
INCHIESTA

Cara, dolce Cara – 3. “Questo Cara s’ha da fare”: così parlò il Viminale




Durante l’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cie e i Cara, del 17 dicembre 2015, il prefetto Scotto Lavina dichiara che era contraria alla gara unica d’appalto e al Consorzio dei Comuni come stazione appaltante. Ma – rivela il prefetto Cannizzo – le cose andarono così perché c’era un “clima” di “forte sollecitazione” da parte del Ministero dell’Interno.


di Giacomo Belvedere


DOSSIER [parte terza, qui parte prima e parte seconda] – Durante l’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cie e i Cara, del 17 dicembre 2015, il presidente Migliore chiede al prefetto Rosetta Scotto Lavina (dal 1° settembre 2012 Direttore Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo e dal 15 settembre 2014 Direttore Centrale per le Politiche  dell’immigrazione e dell’asilo), e a Francesca Cannizzo, ex prefetto di Catania e di Palermo  (oggi indagata a Palermo nell’inchiesta “Saguto”)perché il centro «doveva essere per forza nella provincia di Catania» e se avessero ricevuto pressioni dal Ministero dell’Interno sul Cara di Mineo. Migliore vuole capire, dal momento che per lui «è evidente che sembra quasi un film con un finale già scritto, per cui via via si deve vedere come giustificare quel finale». Nella puntata precedente, si è visto come, in realtà, il copione qualcuno lo avesse in mano prima ancora che la troupe scendesse a Mineo per girare il “film”. E che la trama del film, negli anni avvenire, si sarebbe svolta come un déjà vu con gli stessi protagonisti di sempre. Senza che nessuno, a parte voci isolate, ponesse dubbi o si opponesse alle magnifiche sorti e progressive del Residence della Solidarietà.


2011: Consegna Cara a Castiglione


SCOTTO LAVINA: “CONTRARIA AD APPALTO UNICO E CONSORZIO COMUNI” – Qualche distinguo, tuttavia ci fu in corso d’opera, anche ai massimi vertici del Viminale. Ma non cambiò la direzione segnata. Durante l’audizione, il prefetto Rosetta Scotto Lavina ammette che sarebbe stato meglio, a suo avviso, «procedere con bandi di gara separati e distinti per reperire la struttura di accoglienza e i servizi», tanto che la stessa invitò «la Prefettura di Catania a procedere in questo senso, con due gare distinte, proprio perché l’Avvocatura distrettuale dello Stato aveva suggerito questo». Inoltre il prefetto dichiara la sua contrarietà a che il Consorzio dei Comuni, la creatura ibrida, che Luca Odevaine si vanta di aver suggerito all’allora Ministra dell’Interno Cancellieri, divenisse stazione appaltante, come poi avvenne. Ma allora – incalza Migliore -, perché nonostante tutti i dubbi e le riserve, il Consorzio dei Comuni ha svolto il ruolo di stazione appaltante e non la prefettura di Catania? Su questa domanda il prefetto ha una risposta salomonica: «Devo dire che io ero di parere contrario. Il mio parere era quello che si dovesse andare a gara. La stazione appaltante, a mio avviso, avrebbe dovuto essere la prefettura di Catania. Ripeto, però, che dall’Avvocatura veniva sottolineata la legittimità di entrambe le ipotesi. Entrambe le ipotesi erano percorribili. Poteva anche essere l’altra, ma poi è stata scelta, sulla base della triangolazione tra Avvocatura, prefettura e Ministero, l’opzione di scegliere per la prosecuzione in capo al consorzio con la convenzione ai sensi della legge».

Dunque decisiva fu una triangolazione tra Avvocatura dello Stato, prefettura e Ministero dell’Interno, le cui direttrici e rapporti di forza, tuttavia, non sono sempre evidenti e chiari. Il Presidente chiede al prefetto se abbia avuto «la sensazione che da parte della prefettura di Catania vi fosse una qualche resistenza a fare da stazione appaltante». Vuole capire, dal momento che «è evidente che sembra quasi un film con un finale già scritto, per cui via via si deve vedere come giustificare quel finale».

«A questo, però, onestamente – è la risposta laconica – non so rispondere. Non so se ci siano state resistenze o meno. È prevalsa la tesi opposta, che non era la mia e che non preferivo».

ph. Coordinamento Consiglieri del Calatino

CANNIZZO: “IL MINISTERO SOLLECITÒ FORTEMENTE” – È la volta del prefetto Francesca Cannizzo. Da lei una serie di “io non so”, “io non ricordo bene”, “devo verificare”. Ma un’ammissione c’è: ci fu una “forte sollecitazione” da parte del ministero dell’Interno.

«L’Avvocatura dice che è legittimo – esordisce Migliore -, ma noi non abbiamo ancora capito perché lo volessero fare. In una nazione come l’Italia, dove i comuni normalmente resistono anche ai più banali bandi SPRAR per 20 richiedenti asilo, perché c’era questa grande propensione dei comuni del Calatino ad accogliere 3.000 migranti, se non di più (si è arrivati anche a 4.000 e oltre)?».

«Quanto all’individuazione di un unico immobile – è la risposta -, anche questa non è mai stata una scelta che ha visto il Prefetto di Catania come valutatore, ma che ha visto sempre – perlomeno mi riferisco all’esperienza della mia presenza a Catania – il Prefetto quale destinatario di valutazioni rispetto alle quali sono state indicate le vie». Poi spiega in che senso ha parlato di «destinatario di valutazioni» espresse altrove: «Per esempio, come dicevo, essendosi fatta la scelta di procedere per il prosieguo in regime ordinario con la gara pubblica e quindi di individuare nella prefettura l’ente gestore, la stazione appaltante, fu chiesto di individuare se fra i beni immobili demaniali vi fossero strutture con una capienza di 3.000. Non fu data l’opzione di più strutture». Migliore incalza: «Da parte del Ministero, quindi??». La risposta è lapidaria: «Sì. C’è proprio corrispondenza formale in questo senso».

Il Presidente insiste: «Quando lei dice “è stata, a suo tempo, fortemente sollecitata dal Ministero dell’Interno”, lei come acquisisce questa forte sollecitazione? Perché c’è stata una nota, perché qualcuno l’ha chiamata, perché ci sono persone che hanno rappresentato, perché il ministro in prima persona ha fatto una dichiarazione pubblica?».

Qui la risposta di Francesca Cannizzo, si fa più nebulosa: «Non ho atti formali che posso esibire per poter dare testimonianza formale di questa mia affermazione. Ricordo che ci furono delle riunioni presso il Ministero e le interlocuzioni intercorse, mai a livello di vertice, ma a livello di colleghi. Da parte mia e dei miei collaboratori c’era questa indicazione, che era condivisa. D’altra parte, c’era stata l’esperienza del soggetto attuatore prima». Poi prosegue: «L’idea che se ne aveva in quel momento, per orientamento generale, era che ci fosse questa delega di gestione al consorzio, delega che poi risulta prevista nell’ordinanza». Tuttavia su questo punto, come su altri, l’ex Prefetti di Catania si riserva «di verificare, tramite gli atti presenti alla Prefettura di Catania, se vi sia qualche convocazione di riunione presso il Ministero, qualche verbale di riunione, ma dalle interlocuzioni telefoniche che avvenivano all’epoca – ripeto – non soltanto al mio livello, ma anche fra i miei collaboratori, l’indicazione, il clima, la volontà che risultava era proprio quella di andare nella direzione del consorzio». Un “clima”, dunque, non meglio precisato, eppure tale da dare un’indicazione quasi obbligante e obbligata.

ph. Andrea Annaloro

Migliore chiede se la “forte sollecitazione”, potesse essere venuta anche dal tavolo di coordinamento, in cui, in rappresentanza dell’UPI, sedeva Luca Odevaine. Ma l’unico atto che il Prefetto ha «potuto rintracciare fra la documentazione presente alla prefettura di Catania è un verbale. Mi ero attivata nel senso di potere venire il più possibile documentata per sopperire…».

A questo punto, l’audizione si fa sempre più “calda”. Migliore chiede come mai, nonostante la contrarietà del  prefetto Scotto Lavina, che era “una dirigente massima” in quel momento, «ci sia stata una forte sollecitazione del Ministero in regime di contrarietà del suo vertice», tanto da bypassare il prefetto Scotto Lavina. «Chi è che ha assunto questa scelta?» – chiede il Presidente.  «Noi stiamo cercando questo soggetto. Nessuno la voleva fare, ma poi si è fatta perché era “fortemente sollecitata”». C’è stata insomma «un’individuazione di una priorità che può essere in capo solamente ad un soggetto decisore che può oltrepassare la funzione di un prefetto e anche della stessa direttrice del servizio centrale»?.

«Mai avuto interlocuzioni, né formali, né informali, a livello di vertice ministeriale, assolutamente mai», ribadisce il prefetto Cannizzo. E ripete il suo leitmotiv: «L’unico atto che ho trovato è un verbale del tavolo di coordinamento del 14 dicembre, se non vado errato, in cui si dice che, per quanto riguarda Mineo, se ne parlerà in un’altra occasione, vista la peculiarità dell’aspetto».

Poi spiega: «Il “fortemente voluto” verosimilmente – ma, ripeto, è una verifica da fare sulla base di atti – nasce dalla circostanza che, essendo stata prevista in ordinanza, c’era un’indicazione normativa in quel senso, ma io non ho mai avuto interlocuzioni a livello politico, a livello di vertice, né mai alcuno mi ha interessata nel senso di dire…».

Quindi conclude: «Peraltro, era veramente difficile poter costringere tanti comuni a che dessero vita ad un ente consortile. Ripeto, mi riservo di verificare, tramite l’agenda in cui risultano tutti gli appuntamenti e ulteriori acquisizioni di atti presso la prefettura di Catania, se vi siano documenti che per caso mi sono sfuggiti».

Ma a questo punto l’audizione viene secretata.

GUIA FEDERICO: “IL CARA STRUTTURA PROTETTA” – Non viene audita in quell’occasione anche il prefetto di Catania Maria Guia Federico. Ma sappiamo il suo pensiero sul Cara di Mineo. Durante un incontro, tenutosi 13 gennaio 2014 nel centro menenino con i richiedenti asilo ospiti del Cara, incontro molto atteso perché avvenuto a seguito di proteste e disordini, le è stato  chiesto, “come madre di famiglia”, che fine avrebbero i richiedenti asilo una volta usciti dal Cara, senza lavoro e senza soldi. Guia Federico rispose “come madre”, spiegando che non era affatto semplice poter dire “andate, trovatevi un lavoro”, perché c’erano delle norme da applicare. «Voi qui vivete – aggiunse – in un ambiente, se vogliamo, protetto, confortevole, perché fuori c’è una disperazione incredibile che probabilmente da qua dentro non si avverte». Il Prefetto alludeva ai drammi della disperazione di migliaia siciliani che hanno perso il lavoro. Nonostante questo, spiegò Guia Federico, il Governo italiano stava compiendo un enorme sforzo per mantenere una struttura come il Cara e accogliere chi arriva «da paesi dove c’è maggiore disperazione». «Ma – concluse – vi posso garantire che non pochi italiani prenderebbero il vostro posto e starebbero volentieri qui dentro, viste le difficoltà che affrontano tutti i giorni».

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