Pubblicato il 22/04/2017
CULTURA / LIBRI
Ph: Il Sette e Mezzo

Massimo Roscia: di grammatica non si muore se la rendi un gioco – VIDEO



Nel suo libro Di Grammatica non si muore Massimo Roscia riesce nell’impresa di rendere godibile l’astruso apparato delle regole grammaticali, insegnando a prenderlo per quello che è: un gioco intrigante.
di Giacomo Belvedere

«Per un punto Martin perse la cappa». Non la kappa, per carità, inflazionata nei messaggi social, per sostituire l’italianissimo “ch” e rendere graficamente il suono della “c” dura davanti alle vocali “e” e “i”. Il tutto per risparmiare un’acca: col bel risultato di scrivere male e di dimostrare un’inguaribile tirchieria grammaticale. No, lo sventurato monaco Martino perse la cappa con la “c” e dovette per sempre dire addio alla dignità abbaziale, solo per aver sbagliato la posizione di un punto. L’aneddoto, un tempo noto ai più e e ripetuto come monito a saper bene usare la punteggiatura, oggi è pressoché dimenticato: chi ha tempo per curare i piccoli ma preziosi degni di interpunzione? A volte usati e abusati, altre volte caduti nell’oblio: l’infelice punto e virgola rischia l’estinzione. È in buona compagnia: il congiuntivo chi l’ha più visto? Ma è tutta la grammatica ad essere in sofferenza, maltrattata e violata ogni giorno: dall’ortografia alla morfologia, alla sintassi.

Di fronte a questo scempio quotidiano della grammatica italiana, c’è chi, invece di stracciarsi le vesti, ha deciso di reagire. Singolare che non sia un linguista, un filologo, un lessicografo o un glottologo di professione, ma forse è meglio così. Massimo Roscia ha infatti scelto di schierarsi a fianco della grammatica italiana, ma non rispolverando vecchi e noiosi manuali. Il suo nuovo libro, Di grammatica non si muore, sin dal titolo, tradisce un desiderio segreto, una sorta di missione impossibile: far innamorare della grammatica i giovani, far battere i loro cuori per la dolce lingua del «bel paese  dove ‘l sì suona». O, forse, suonava, dato che l’avverbio affermativo viene sempre più spesso evirato e privato dell’accento.

Il libro è stato presentato giovedì 20 aprile, davanti a un pubblico numeroso e divertito, a Caltagirone, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati” promossa dalla Libreria Dovilio.

È un libro godibilissimo, un gustoso pamphlet (e scusate il forestierismo) contro l’incuria, la trascuratezza nell’uso della lingua. Forse anche dettato da un rimorso: Roscia si sentiva sulla coscienza tutti i morti, vittime degli attentati terroristici, messi in opera dai cinque improbabili personaggi, con la fissa della grammatica, protagonisti in solido del suo romanzo La strage dei congiuntivi. Un libro in cui di grammatica si muore, eccome. I cinque puristi assassini mettono a segno un piano criminale per punire con la morte chi massacra la grammatica. Una sorta di pulizia etnica filologica «frutto – per ammissione dello stesso autore – della sua fantasia malata».

Di grammatica non si muore vuol dunque rassicurare sui propositi omicidi (in campo squisitamente letterario, ma mai fidarsi degli scrittori) dell’autore, che lancia un salvagente a chi, in extremis, vuol evitare il naufragio nel mare magnum della sciatteria grammaticale. L’intento è di fare della grammatica un gioco divertente. Non è un paradosso: non si dà gioco senza regole. Ma le regole sono funzionali al gioco e non viceversa. Se solo ai lettori, specie ai più giovani, Di grammatica non si muore consegnasse questo semplicissimo insegnamento, sarebbe una gran bella vittoria. E scusate se è poco. 

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