Pubblicato il 26/01/2017
CULTURA / LIBRI

Marinette Pendola presenta a Caltagirone “L’erba di vento”: la libertà nonostante tutto



Un romanzo di sopruso e libertà, di solitudine e riscatto, di una giovane siciliana emigrata in terra d’Africa, che ha la tenacia ostinata dell’“erba di vento”.
di Giacomo Belvedere

La storia del riscatto dal potere esercitato dall’universo maschile, della resilienza e tenacia con cui una donna cerca la libertà, ma anche la storia di un’emigrazione all’incontrario da Nord a Sud: di una siciliana che va in terra d’Africa, in Tunisia. Questo è altro ancora è L’erba di vento, l’ultima fatica di Marinette Pendola, scrittrice che si fa fatica a definire riduttivamente italiana, dal momento che le sue radici affondano in quello straordinario e forse irripetibile humus che fu l’emigrazione italiana (e per buona metà siciliana) in Tunisia. Un esperimento antropologico vivente di coabitazione di etnie e popoli, un crogiolo di culture, religioni, usi e costumi diversi eppure con un denominatore comune, la mediterraneità, che proviene da quel mare che nel suo stesso nome dice una vocazione: l’essere medium terrarum. E allora nessuna sorpresa se il 15 agosto, il simulacro della Madonna di Trapani veniva portato in mare da tutti i pescatori, cristiani o no, o se il sabato, l’alunno aprifila ebreo, incaricato di accendere la luce all’entrata in aula, lo si dispensava dal compito senza che nessuno trovasse da ridire. Siciliani che in Tunisia costruirono strade, ponti o ferrovie, e importarono i vitigni da Pantelleria e insegnarono i tradizionali giochi delle carte, come la “scopa”, per i tunisini “scupa”, in cui i punti si contano in siciliano, non in arabo.

Ricordi unici, che emergono da un passato – purtroppo oggi pressoché ignorato – di cui Marinette Pendola è una testimone diretta. Nata in Tunisia, da genitori di origini siciliane (il suo bisnonno emigrò in tutta fretta da Sciacca in Tunisia, dopo aver assistito a un omicidio, probabilmente di mafia, all’inizi del Novecento), costretta, come molti italiani, ancora ragazzina a fare il cammino a ritroso e ad abbandonare la Tunisia, l’autrice oggi insegna francese in una scuola superiore di Bologna, città dove vive, e collabora con l’università di Parigi X-Nanterre.

Marinette Pendola confessa di essere francofona e che l’italiano è tuttora la sua seconda lingua: «L’ho imparato e ora lo parlo bene, ma ancora – scherza – non padroneggio tutti i suoi tranelli». Un mix multiculturale la sua formazione, in cui si incontrano e fondono radici italo-siculo-arabo-francesi. Questa singolare esperienza autobiografica è stata la cornice che ha fatto da sfondo ai sui precedenti romanzi: La riva lontana e La traversata del deserto. L’erba di vento, invece, pur richiamandosi a quell’esperienza, è il suo primo romanzo non autobiografico. Il libro è stato presentato mercoledì 25 gennaio a Caltagirone, nell’ambito della rassegna “Scrittori strettamente sorvegliati”, promossa dalla Libreria “Dovilio”.

Il libro narra la vicenda, a cavallo tra le due guerre mondiali, di Angela, una donna che è costretta a lasciare il suo paese natale, vicino a Partinico, per seguire il marito, mastro Filippo, che di mestiere fa il guaritore e che le è stato imposto dalla madre, una vedova che, dopo la morte del marito, ha assunto il ruolo patriarcale in famiglia. Angela è una donna indipendente e solitaria, con tratti del suo carattere quasi autistici, per questo in paese è considerata una ragazza “strana”. Ma il suo anelito di libertà è conculcato da un contesto sociale in cui alle donne non è lecito scegliersi la vita: così subisce un matrimonio non voluto e l’addio al borgo natio per cercare fortuna in nord Africa. Lei, come l’erba di vento evocata nel titolo, nome in siciliano della parietaria, che si rifugia e mette radici negli anfratti e angoli più angusti dei muretti, sopravvive anche nei pochi spazi che le sono concessi, nonostante tutto e tutti. Finché – ma non sveliamo la trama per non guastare il gusto della lettura – un giorno il marito stregone le chiederà qualcosa che sarà troppo anche per chi dalla dura vita ha dovuto imparare l’arte della sopportazione. E Angela inizierà il suo cammino di riconquista della libertà perduta.

Il romanzo è costruito sapientemente e avvince il lettore. La lingua, essenziale, ha le movenze del siciliano, pur in un tessuto linguistico sostanzialmente italiano. «Mentalmente – ha detto la scrittrice, durante l’incontro con i lettori -, mentre lo scrivevo, traducevo in siciliano, perché volevo rendere nella scrittura la sua musicalità. Il romanzo è narrato in prima persona da una protagonista analfabeta, e volevo che avesse l’essenzialità e semplicità della sua lingua, perché la lingua è il pensiero di un personaggio». Uno sforzo di spoliazione di sé e di immedesimazione nella protagonista difficile e arduo in cui – come confessa l’autrice – Marinette Pendola ha faticato non poco, per riuscire a calarsi interamente nella lingua del personaggio. «Non so se sempre ci sono riuscita appieno».  

Lasciamo ai lettori il giudizio ma senz’altro, ancora una volta, con L’erba di vento, Marinette Pendola ci restituisce un mondo perduto di straordinaria convivenza tra popoli e religioni, un unicum multiculturale che la memoria storica degli italiani ha colpevolmente rimosso e che avrebbe molto da insegnare oggi, in tempi di muri stolidamente innalzati e porte ottusamente sbarrate allo straniero.

VIDEO INTERVISTA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Commenta
Il tuo commento verrà pubblicato previa approvazione. Soltanto il nickname sarà visibile a tutti gli utenti.