Pubblicato il 31/10/2016
CULTURA

Poveri morti, ridotti a zombie: e la Sicilia si arrese all’invasione di Halloween



di Giacomo Belvedere

Chi di noi è siciliano, e ha una certa età, ricorda bene come da bambini si viveva l’attesa eccitata della festa dei morti. Si dormiva con un occhio chiuso e uno aperto, per essere vigili e sorprendere i “morti” che ti portavano i regali. Ma poi, immancabilmente, loro ti fregavano sempre. Nessuna paura, anzi. Si pregustava una felicità nota, eppure ogni anno nuova. I “morti” che attendevi con trepidazione erano i tuoi cari. Anche quelli che non avevi mai conosciuto, perché morti prima della tua nascita: a casa ti insegnavano ad amarli. E poi, dopo la “truvatura” in casa, si usciva con i genitori a far visita ai nonni e agli zii: una caccia al tesoro da cui si tornava carichi di regali. Intanto, senza che qualcuno ti facesse la lezione morale, si cementavano i legami familiari, con i vivi e con i morti. La tradizione della festa dei morti trasmetteva ai bimbi un messaggio rassicurante e un rapporto sereno, familiare, per nulla lugubre con la morte. Quasi fosse un’amica o una sorella, una zia, una nonna, che ti regalava piccole gioie: giocattoli e i dolci dei morti. Qualcuno ancora sopravvive sui banconi dei bar o delle pasticcerie alla devastazione dell’oblio a cui abbiamo condannato la festa: i cosiddetti “bersaglieri”, altrove chiamati “totò”, le “rame di Napoli”, le “ossa dei morti”, i “mustazzoli”, la fantastica frutta di pasta reale. Introvabili i pupi di zucchero.

Ma oggi i cari morti sono stati esiliati e la festa espropriata da un’usanza straniera che riduce la morte a una desolante carnevalata horror. E a un ghiotto affare. Cancellata del tutto la bella e toccante tradizione dei morti, per essere sostituita con una pacchiana festa di importazione. Promossa persino da troppo zelanti istituzioni scolastiche, che però sono assai freddine verso le genuine tradizioni nostrane.

Halloween festa satanica contro cui bandire una crociata? Macché. Troppa grazia. Semmai, da noi  – ché laddove è nata e radicata diverso può essere il giudizio, fatta tara della mercificazione a cui è stata sottoposta –, espressione di provincialismo e asservimento al colonialismo culturale americano: una sorta di suicidio civile nel nome di una moda che non è nel nostro DNA.Una festa per… zucche vuote. Sosteneva Foscolo che a un popolo possono togliere tutto: terra, libertà, beni. Ma se tolgono la memoria quel popolo è finito, morto per sempre

Nessuna nostalgia romantica del tempo che fu: la rottamazione della festa dei morti è una cosa serissima e un segnale preoccupante di una deriva culturale che viene da lontano. Non è solo la capitolazione di una tradizione siciliana, ma la liquidazione di un’antropologia verace che si sta consumando. La morte è infatti il grande tabù della società moderna. Della morte non si parla laddove vige il culto dell’eterna giovinezza. Tentiamo così di anestetizzarla, edulcorarla, neutralizzarla per esiliarla dalla vita degli uomini. Oppure – che è lo stesso – banalizzarla, desacralizzarla, esponendola senza pudore allo sguardo: una sorta di pornografia dell’horror cui i media ci hanno abituato quotidianamente. La sovraesposizione all’orrido ti annebbia la vista: non vedi più i morti. Halloween risponde a questa seconda tendenza: ma si rischia di diseducare i bambini alla morte, istillando in loro un messaggio distorto. Da adulti non conosceranno la pietas che vela, – non censura! – la morte preservandone il mistero.

Povera sorella morte! Così, ridotta alla sua contrifigura non è più una cosa seria. Una farsa, una pagliacciata. Pensiamo di averla esorcizzata. Ma la morte non si lascia gabbare così facilmente. È la fine della vita che allude misteriosamente, per credenti e no, ad un fine con cui tutti dobbiamo fare i conti. Essa – come ci ricorda Il Cantico di frate Sole di S. Francesco –  è la povertà assoluta «da la quale nullu omo vivente po’ scappare»: rende tutti eguali, perché priva di tutto ciò che si ha. Ci rende nudi di fronte a noi stessi. Caduti i vuoti orpelli dietro cui ci siamo nascosti, resta solo ciò che siamo, che non viene perduto, può godere dell’immortalità e «la morte “secunda” no ‘l farà male». A meno che, più che a essere, abbiamo badato ad avere: allora, quando saremo chiamati al grande passo, saremo solo un vuoto a perdere. Altro che dolcetto, scherzetto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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