Pubblicato il 07/10/2016
CULTURA / LIBRI

Il Dio maschile che odia le donne di Giuliana Sgrena



di Giacomo Belvedere

C’è una profonda e insanabile inimicizia tra Dio e la donna: è questa la tesi dell’ultima fatica della giornalista e scrittrice Giuliana Sgrena: Dio odia le donne. Un titolo volutamente provocatorio. In realtà – come spiega nell’intervista che ci ha rilasciato -, è il Dio degli uomini a odiare le donne. Il vero nemico delle donne è il patriarcato, nato prima delle religioni monoteiste, su cui il saggio si sofferma più in dettaglio. Ma – questo è l’assunto – le tre grandi religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, hanno ulteriormente cementato e veicolato una spiritualità e morale sessista e discriminatoria nei confronti delle donne. Il libro è stato presentato il 6 ottobre a Caltagirone, davanti a un pubblico numeroso e attento, presso la Libreria Dovilio, nell’ambito dell’iniziativa “Scrittori strettamente sorvegliati”. 

Giuliana Sgrena si definisce convintamente atea: un percorso di maturazione e liberazione da schemi religiosi  iniziato sin dalla tenera età, quando la suora invitava le altre sue compagne di scuola a pregare per lei, perché aveva il papà partigiano e comunista. E lei, che amava suo padre, non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato nella sua famiglia. Nessun arretramento negli anni, dopo la rottura con  quel passato religioso, sentito come una pesante cappa: la nostalgia di Dio – scrive nel libro – non l’ha presa nemmeno  nei giorni drammatici del suo rapimento in Iraq nel 2005. In una situazione in cui forte per altri può essere il richiamo del sacro, l’autrice non ha sentito alcuna spinta a pregare. Solo il pensiero di Nelson Mandela l’ha sostenuta: sperava di mantenere nella prigionia la stessa dignità del grande leader sudafricano.

Ph. Il Sette e Mezzo

Ph. Il Sette e Mezzo

Il saggio, si avverte nelle pagine introduttive, non vuole essere un pamphlet, ma un’analisi spassionata: uno studio analitico. Ma ha “il sapor di forte agrume”: un j’accuse serrato contro le religioni monoteiste, che neppure alcuni passi che sembrano andare in direzione diversa, salvano dall’accusa di aver perpetuato nel corso dei millenni il controllo sociale sulla donna, attraverso i meccanismi dell’assuefazione e della costrizione violenta.

Si tratta, per esempio, di due passi, citati nel libro: l’episodio della Maddalena, che nel vangelo di Giovanni è la prima testimone della resurrezione (nella legge mosaica la testimonianza delle donne era nulla giuridicamente) e per questo fu in seguito appellata col titolo di “apostola degli apostoli” e di “evangelista”; o il noto versetto di Paolo nella Lettera ai Galati 3,28: «non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Massi erratici fuori le righe che, per Giuliana Sgrena, non hanno cambiato affatto l’indirizzo di fondo: l’interpretazione delle Scritture prevalente è stata nei secoli quella contro le donne.

Illuminante è, in questo senso, il racconto della creazione del libro della Genesi: la “costola” da cui sarebbe stata creata la donna, ha giustificato nell’immaginario religioso l’inferiorità e dipendenza della donna dall’uomo. Considerazione inoppugnabile e molteplici sono, oltre a quelle citate nel saggio, le interpretazioni del passo genesiaco che trasudano misoginia: tuttavia è lecito chiedersi se tali letture siano corrette, benché siano state nel corso dei  millenni prevalenti, maggioritare e pressoché a senso unico. Perché, a ben leggere senza le sovrastrutture depositatesi nei secoli, adam, non vuol dire originariamente uomo di sesso maschile, ma umanità in generale, e “l’immagine e somiglianza” con Dio di cui si parla non è affatto prerogativa e privilegio del maschio, ma attributo del “maschio-e-femmina” che, unendosi sessualmente – e proprio per questo – prendono da Dio la capacità di pro-creare un altro essere. Insomma, né l’uomo né la donna da soli sono immagine compiuta di Dio: per esserlo hanno bisogno dell’altro-da-sé. E ancora: la sessualità non è affatto demonizzata, tutt’altro: in essa risiede l’immagine di Dio. Davvero stupefacente è ritrovare questo messaggio nel racconto sacerdotale (l’altro, quello della costola, per intenderci, è chiamato “javista”), scritto nell’ambito della casta dei sacerdoti che non brillavano certo per filoginia. Ma occorre anche chiedersi perché questa interpretazione non sia mai decollata.

Tuttavia, l’intento del saggio non è certo una nuova esegesi biblica: il fine della sua ricerca è semmai inseguire e scovare nei meandri della storia quel fil rouge che fa della storia delle religioni una storia maledetta per le donne. Quel che conta e interessa all’autrice è l’effetto che hanno avuto storicamente i testi sacri delle tre grandi religioni monoteiste, non certo il senso originario di alcuni passi: ed è un effetto dirompente per le donne. Dio odia le donne è un libro che si legge d’un fiato. Interroga, incalza, non fa sconti e può anche – e forse vuole – disturbare: ma è scritto con grande onestà intellettuale e lucida passione. Senz’altro una salutare lettura per credenti e non.

IL COMMOSSO RICORDO DI CALIPARI – Toccante, nell’intervista, il ricordo  di Nicola Calipari, l’uomo del Sismi che la salvò due volte: la prima, liberandola dalla prigionia; la seconda, tragica, proteggendola col suo corpo, a costo della vita, dal “fuoco amico” dei militari americani.

Quel tragico episodio – ci dice – non ha cambiato le sue posizioni o il modo di intendere il mestiere: un giornalismo di  strada che cerca le notizie, le verifica, e non sta chiuso in un albergo a scrivere articoli, col copia e incolla da internet.

«Ma è cambiata moltissimo la mia  vita personale – ci confessa – perché il fatto stesso di essere stata per tanto tempo a contatto con la morte, ha fatto sì che io oggi viva alla giornata». «La morte di Calipari – continua – non mi ha mai permesso di essere felice per la mia liberazione. E quindi non ho più l’entusiasmo che avevo prima nella vita. Per me c’è solo l’oggi, non faccio più progetti». Le chiediamo, in punta di piedi, di parlarci di Calipari: è stato “un insegnamento” per tutta la redazione del Manifesto: un difensore dello Stato e dei suoi cittadini a prescidere dalle loro posizioni ideologiche. «Ha avuto un rapporto con me, col direttore del giornale e col mio compagno – conclude – molto umano. Abbiamo capito che i servizi segreti non sono tutti servizi deviati, nei servizi ci possono essere anche persone perbene e sicuramente Nicola Calipari lo era».

VIDEO INTERVISTA (G. Belvedere – G. Scollo)

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