Pubblicato il 23/06/2016
INCHIESTA

C’è Mafia Capitale nella truffa al Cara Mineo? Verzera: «Quei soldi non andavano in beneficenza»



 di Giacomo Belvedere

Oltre un milione di euro erogati per presenze fantasma. Tanti sono i soldi che non tornano al Procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, che ha fatto le pulci alla contabilità del Cara di Mineo: il centro  avrebbe gonfiato le presenze degli ospiti per ricevere indebitamente contributi per servizi mai prestati. Verzera, una lunga esperienza in materia di antimafia maturata nelle DDA di Messina e Reggio Calabria, ha fama al Tribunale di Caltagirone di lavoratore indefesso e meticoloso. Sulle inchieste si tiene sempre rigorosamente abbottonato, al naturale riserbo unisce il rispetto del segreto professionale e poco concede alla visibilità e clamore mediatico: quasi impossibile carpirgli un’ammissione, un’allusione sulle inchieste che ha in corso. Alle parole preferisce i fatti, va avanti inesorabile: come un fiume carsico si inabissa per poi riemergere in superficie quando ha concluso le indagini. Sul Cara, aveva detto ai nostri microfoni durante l’intervista che ci aveva rilasciato nel mese di aprile 2015, ad appena quattro mesi dal suo insediamento: «Uno dei fascicoli che ho attenzionato immediatamente quando mi sono insediato qui Caltagirone è stato il famoso appalto del Cara di Mineo. È un’inchiesta molto complessa, che assorbe moltissimo me e la polizia giudiziaria che mi coadiuva nell’inchiesta».

LE INCHIESTE SUL CARA – Parole che oggi, ad appena un anno e mezzo dal suo arrivo a Caltagirone, rivelano tutto il loro peso: sono già quattro le inchieste, che riguardano a vario titolo il centro menenino, portate a conclusione d’indagine dal Procuratore calatino. Per la prima, che riguarda una presunta compravendita di consiglieri a Mineo per farli transitare dall’opposizione alla maggioranza, ha richiesto il rinvio a giudizio per il sindaco di Mineo Anna Aloisi, già presidente del Consorzio Calatino terra d’Accoglienza” – che amministrava il Cara prima della messa in mora dopo le perquisizioni e gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura etnea; per l’ex primo cittadino Giuseppe Mario Mirata; per l’ex presidente del Consorzio Sol Calatino Paolo Ragusa; per il consigliere e assessore comunale Luana Mandrà e l’ex assessore comunale Maurizio Gulizia. Un’indagine con tanti filoni, tanti aspetti processuali, al vaglio della Procura di Caltagirone, tra cui i 700 dipendenti: «Stiamo verificando – ci disse nell’intervista di luglio Verzera – se ci sono dei rapporti di parentela, se ci sono delle assunzioni non legittime ed eventuali risvolti che possono avere rilevanza penale».

La seconda inchiesta, per tentata concussione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e tentato abuso d’ufficio, vede indagati il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, gli ex assessori Giuseppe Biazzo, Maurizio Gulizia e Massimo Pulici, l’ex presidente di Sol.calatino Paolo Ragusa, i dirigenti comunali Domenico Caccamo e Tommasa Saitta e gli impiegati Vincenzo Camuti e Giuseppe La Rosa e riguarda invece la posizione privilegiata che paiono avere alcune coop nell’aggiudicazione degli appalti da parte del comune di Mineo.

Nella terza inchiesta è finito sotto la lente d’ingrandimento l’appalto da 97 milioni di euro, per il quale la Procura di Caltagirone ha avanzato le ipotesi di reato di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente a carico di 12 persone. Oltre l’ormai noto esperto multitasking Luca Odevaine, l’ex direttore del Consorzio Giovanni Ferrera e il capo dell’Ufficio tecnico di Vizzini Salvatore Lentini, anche i 9 sindaci del comprensorio del Calatino, facenti parte del Consorzio dei Comuni “Calatino Terra d’Accoglienza”. Alcuni nomi. come si vede, tornano come un refrain.

Ieri è andata in porto la quarta e – c’è da giurare – non ultima inchiesta, stavolta sui conti del centro menenino. Sei gli indagati per truffa e falso ideologico: Sebastiano Maccarrone, direttore Cara di Mineo; Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio Calatino Terra d’Accoglienza; Andromaca Varasano, uffici amministrativi del Cara; Salvo Calì, rappresentante legale di Sisifo; Roberto Roccuzzo, consigliere delegato di Sisifo; Cosimo Zurlo, amministratore delegato della Casa della Solidarietà. Sisifo e Casa della Solidarietà sono le società capofila delle Ati (associazioni temporanee di imprese) che si sono aggiudicate negli anni i tre bandi per la gestione delle forniture e dei servizi all’interno del centro richiedenti asilo: Sisifo quelli del 2011 e 2012, Casa della Solidarietà quello del 2014. Ma il cambiamento è solo di facciata: le coop e le ditte delle Ati sono sempre le stesse. Secondo la Procura calatina, oltre un milione di euro sarebbe stato intascato indebitamente dalle Ati che ricevevano i contributi  pubblici. Di qui le notifiche di garanzia ai rappresentanti legali delle due coop.

LA TRUFFA DEL BADGE – Grazie al lavoro certosino svolto dagli agenti del Commissariato di Caltagirone, diretto da Marcello Ariosto, e da quelli della Squadra Mobile di Catania, diretta da Antonio Salvago, che hanno passato al setaccio migliaia e migliaia di documenti, si è scoperta una voragine tra gli elenchi certificati dai responsabili della struttura nella documentazione cartacea inviata alla Prefettura, sulla base della quale venivano emesse le fatture poi liquidate, e quanto risulterebbe dall’analisi del back up effettuato su tutta la documentazione informatica. Nel mirino degli inquirenti il badge personale che, in base a un accordo siglato tra la Prefettura e la Stazione appaltante, viene assegnato al migrante tre giorni dopo il suo ingresso al Cara. Il badge viene utilizzato nel Centro di accoglienza dagli ospiti per registrare i movimenti e usufruire dei servizi (le “strisciate” avvengono in ingresso, in uscita, presso la mensa, al bazar, ai servizi sanitari, ecc.). Se per tre giorni il badge non viene utilizzato, il sistema va in allarme e il migrante deve essere dichiarato dimesso e non più presente nella struttura. Cosa che, a quanto risulta dalle indagini, veniva fatto, ma con colpevole ritardo, di giorni e anche mesi: «Abbiamo accertato – spiega Verzera durante la conferenza stampa di ieri – che moltissimi, migliaia, di questi migranti sono stati dimessi in periodi di gran lunga successivi all’andata in allarme». Periodi in cui il centro ha percepito la diaria per ospiti che non c’erano più.

Per farsi un’idea, nel periodo tra ottobre e novembre 2011, i giorni indebitamente contabilizzati sono stati  1.417  e, nell’intero anno 2012, 20.718, giornate per le quali non è stato erogato alcun servizio e che hanno permesso alla ATI SISIFO rimborsi indebiti pari a 36.388, 56 per i soli tre mesi del 2011 e 630.161,76 euro per l’anno 2012. Nel periodo compreso tra il primo gennaio 2013 e il 30 settembre 2014 i rimborsi percepiti illecitamente sono stati pari 204.197,40 euro, riferiti a 5.849 giorni di presenze certificate in maniera fraudolenta. Dal mese di ottobre 2014 al mese di giugno 2015 la truffa dei rimborsi ammonta complessivamente a 119.269,50 euro calcolati su 3.882 giorni. Cifre vertiginose: una  sorta di tesoretto in nero. Solidarietà a costo zero per la struttura, ma onerosissima per lo Stato italiano e la UE, in quanto, negli ultimi tre mesi dell’anno 2013 il centro menenino ha usufruito anche di Fondi FER per le eccedenze di migranti oltre le 2 mila presenze.

A chi andava questo tesoretto in nero? Chi ha falsificato i dati, lo ha fatto in cambio di qualcosa? «Questa è una bellissima intuizione giornalistica – sorride sornione Verzera, scambiandosi sguardi sibillini d’intesa con Ariosto –  e probabilmente anche investigativa, però noi al momento non lo sappiamo». Poi, riprende il suo abituale riserbo: «L’indagine è ancora in corso». Insomma, il vaso di Pandora è stato appena scoperchiato e promette di rivelare altro. C’è ancora da vagliare tutta la documentazione sequestrata a seguito delle «numerosissime e minuziose perquisizioni» in tutta Italia presso gli uffici del Cara, le coop indiziate e le abitazioni degli indagati, da cui potrebbero venire ulteriori spunti investigativi.

CONFERENZA STAMPA VERZERA (continua a leggere dopo il video)


A CHI È ANDATA LA TORTA? – I fondi percepiti sono calcolati sulla base  della diaria pro capite pro die, moltiplicata per le presenze al centro. La diaria, omnicomprensiva di tutti gli oneri di gestione, che era di 35,45 euro con l’appalto dell’anno 2012, è scesa a 34,60 euro a partire dal 2013.

Dalla lettura dell’atto costitutivo del raggruppamento, vincitore dell’appalto triennale da 97 milioni del 2014, risultano i servizi eseguiti dalle singole società e le percentuali di partecipazione all’ATI:

– il Consorzio di Cooperative Sociali “Casa della Solidarietà” è deputato a svolgere servizi di gestione amministrativa e di assistenza generica alla persona, servizi di pulizia e igiene ambientale e la fornitura di alcuni beni previsti dal capitolato di appalto, per una quota pari al 15,33% dell’intero valore contrattuale, al netto dell’iva;

– il Consorzio di Cooperative Sociali “Sisifo”, il Consorzio Cooperativa Sociale “Sol Calatino” e la Società Cooperativa Sociale “Senis Hospes” eseguono i medesimi servizi della capogruppo mandataria in associazione temporanea “orizzontale”, per una quota pari rispettivamente all’11,16%, 15,26% e 10,18% dell’intero valore contrattuale, al netto dell’iva;

– La Cascina Global Service s.r.l. è incaricata di eseguire il servizio di fornitura e preparazione pasti ed esecuzione dei servizi accessori e strumentali al servizio di ristorazione, per una quota pari al 33,27% dell’intero valore contrattuale, al netto dell’iva;

– all’Associazione Italiana della Croce Rossa – Comitato Provinciale di Catania compete il servizio di assistenza sanitaria, per una quota pari al 5,87% dell’intero valore contrattuale, al netto dell’iva;

– all’impresa “Pizzarotti & C. s.pa.” spetta l’esecuzione del servizio di gestione e manutenzione locali ed impianti, per una quota pari all’8,93% dell’intero valore contrattuale, al netto dell’iva.

Inoltre, occorre aggiungere, che nella quota diaria di 34.60 euro sono inclusi il costo della locazione per la Pizzarotti, pari a 4,10 pro capite/pro die (che decresce a € 2,60 oltre le 3.000 presenze) e anche un rimborso per il Consorzio dei comuni, di 0,60 centesimi, dal momento che l’aggiudicazione dell’appalto alla Cooperativa era avvenuta, in realtà, al costo di € 29,50 pro capite/pro die. Il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza”, costituito dai comuni di Mineo, S. Michele di Ganzaria, Vizzini, S. Cono, Ramacca, Raddusa e Licodia Eubea, è diventato il soggetto attuatore del Centro di Accoglienza richiedenti Asilo di Mineo, in sostituzione della provincia di Catania, siglando l’8 marzo 2013 la convenzione con la Prefettura di Catania per la gestione ordinaria del Centro di contrada Cucinella. Il 20 dicembre 2013 il Consorzio ha assunto anche il ruolo di stazione appaltante per la selezione del soggetto gestore.

Il prelievo è giustificato per assicurare le spese di funzionamento dell’Ente e per avviare progetti di integrazione degli ospiti del Centro con le comunità del calatino. Ma il rimborso è stato contestato dalla Corte dei Conti nell’adunanza del 26 gennaio 2015, in quanto si altera così «la fisionomia dell’accordo pubblicistico delineato dal citato art.15 nel quale i soggetti portatori di interessi pubblici devono contribuire alla realizzazione dello scopo comune con apporti propri».

Le domande, a questo punto, si affollano. Alla spartizione degli euro truffati partecipavano tutte le coop e ditte dell’Ati e i comuni del Consorzio? O erano all’oscuro di quella somma in nero? Ancora: il milione in nero, percepito illegalmente attraverso la falsa rendicontazione, serviva a ungere ruote, pagare tangenti o altro? Sarà interessante scoprire se e quanto tutti gli attori della vicenda  fossero a conoscenza della truffa, e se e come se ne siano avvantaggiati. Una pista di indagine complessa che potrebbe aprire scenari a sorpresa.

MAFIA CAPITALE: TUTTE LE STRADE PORTANO A ROMA?Ci sono poi, nella torta, da considerare i fondi della UE, in quanto, negli ultimi tre mesi dell’anno 2013 il centro menenino ha usufruito anche di Fondi FER per le eccedenze di migranti oltre le 2 mila presenze. Riguardo ai fondi UE, il Consiglio di Amministrazione del Consorzio il 18 ottobre 2013 approvava la costituzione di un “Ufficio Fondi Europei” alle dirette dipendenze della direzione Generale. Un ufficio tagliato su misura per Luca Odevaine, che il 21 giugno 2014 viene incaricato con contratto a tempo determinato part time al 50% di occuparsi della «rendicontazione dei fondi europei già assegnati dal Ministero dell’Interno al Consorzio e, nel contempo, della progettazione, gestione e rendicontazione di ulteriori finanziamenti a valere su fondi europei a favore di migranti e richiedenti asilo, ospiti del Cara di Mineo». Odevaine viene scelto  –  come si legge nell’atto di nomina – in quanto «vanta eccellenti requisiti specifici – professionali».

Tutte le strade portano a Roma? Tutte le inchieste, che in un modo o in un altro riguardano il Cara di Mineo, finiscono per orbitare attorno all’inchiesta madre sull’appalto milionario per la gestione del Cara di Mineo e sul  ruolo avuto da uno dei protagonisti dell’inchiesta romana su Mafia Capitale, Luca Odevaine, consulente factotum al centro menenino e membro dal 2011 al 2014 di tutte e tre le commissioni aggiudicatrici degli appalti.

Quali legami tra l’attuale inchiesta per la truffa dei badge e Mafia Capitale? Verzera è laconico, al suo solito, ma preciso: «Mafia capitale c’entra. Loro indagano sull’appalto, sulle tangenti e ci trasmettono gli atti». Sono ipotizzabili tangenti pagate con questo tesoretto in nero? «Stiamo indagando. Potrebbero essere ipotizzabili anche delle tangenti. La connessione potrebbe essere questa: noi abbiamo scoperto un ammanco di un milione di euro che non è poco. Dove siano andati a finire ancora non lo sappiamo, però è facilmente ipotizzabile che non siano andati in opere di beneficenza». Verzera smentisce infine che ci sia in atto un’indagine su politici siciliani coinvolti in tangenti.

VIDEO INTERVISTE SALVAGO E VERZERA


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